Soja transgenica, Monsanto e la Pampa.

Da pochissimo la comunità europea ha autorizzato l’utilizzazione di prodotti transgenici.

02.03.2010 – Ore 12.08. L’Ansa annuncia: «Via libera della Commissione Ue alla coltura in Europa della patata transgenica Amflora, per uso industriale. Il via libera sarà accompagnato dal lancio del dibattito politico sul futuro del dossier degli Ogm nell’Ue seguendo la linea del presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, il quale ha dichiarato nelle scorse settimane “di non voler imporre la coltura degli Ogm in Europa”».

Molti di noi sanno, ormai (ma lo abbiamo realizzato bene?), che da tanto ormai, nonostante il divieto, un gran numero di cibi, che consumiamo, contengono soja e mais transgenico (i primissimi prodotti a esser stati manipolati).

Proprio ieri, libera da qualche impegno, mi sono imbattuta nell’articolo che riporto di seguito – interessantissimo – e che “illustra” quello che è accaduto e sta accadendo per produrre la soja transgenica.

Stanno – ovviamente – cercando di “occultare” studi e ricerche, qualcosa però riesce a passare le maglie della… “censura”?

L’articolo è in spagnolo – non lo traduco perché non conosco così bene lo spagnolo da poter fare una traduzione – credo però che la maggior parte possa comprendelo; la versione intera di quello che è qui riportato si trova qui:

http://tierralibertadyterritorio-tlyt.ning.com/profiles/blogs/alberto-lapolla

è interessante leggere anche tutto il resto perché per produrre soja, in Argentina, si stanno creando disastri ambientali, alla salute delle persone, senza alcun beneficio.

Ecco l’articolo di Alberto J. Lapolla (Ingegnere Agronomo, genetista e storico, Direttore dell’ Instituto de Formación de la CMP).

“Según todo indica la cosecha de sojaRR (transgénica-forrajera) de esta campaña 2009-2010, orillará las 52 millones de Tn, abarcando la friolera de 19 millones de has sembradas. Lo cual implica
alrededor del 57 % de la producción total de granos y el 55%
del área
sembrada. Esto es, una profundización aun mayor del monocultivo sojero y del proceso de sojización.

Proceso que pagamos destruyendo casi todas las demás actividades agrícolas y transformando a uno de los mejores ecosistemas del mundo para producir alimentos, en una factoría neocolonial de producción de ‘pasto-soja’, subsidiando la producción industrial de China, la India y la Unión Europea.

Países que no desean producir materias primas a ser usadas en cadenas
alimenticias secundarias, las que compran a países del Tercer Mundo (nosotros) mientras destinan todos sus recursos agrícolas a producir alimentos, sosteniendo su soberanía alimentaria, contrapartida de un proceso de industrialización exitoso, tal cual hicimos los argentinos entre 1945 y 1976.

La Argentina por el contrario destina la mayor superficie posible de de su
feraz pradera pampeana (más de 35 millones de hectáreas) a producir parte de la cadena alimenticia de otros países, ignorando o debilitando la nuestra. Nuestro vecino Brasil, y el propio Chile -a pesar de su modelo neocolonial- no actúan así. De tal forma la otrora famosa soberanía alimentaria argentina es hoy cosa del pasado.

Hecho que puede comprobarse en el reciente desmedido aumento del precio de la carne, debido a la reducción constante del stock y de la
superficie ganadera, que la sojización produce, expulsando la ganadería a
regiones marginales de menor productividad.

De tal forma, la ganadería perdió desde el inicio de la sojización la increíble cifra de 13.5 millones de has en Pampa húmeda y una cifra cercana a los 3 millones de cabezas por año, en las últimas cinco campañas, produciendo una drástica reducción del stock. Este proceso viene unido a la concentración de la producción de carne para el mercado interno en los feed-lots, que hoy concentran casi el 80% de la producción de carne para consumo interno.

Carne ‘chatarra’ contaminada con antibióticos, anabólicos, hormonas, vacunas, funguicidas, y sobre todo con animales alimentados sin pasturas naturales, con alto nivel de granos, lo cual altera totalmente su composición nutricional, afectando la salud de la población que los consume.

Es decir, la de la mayoría de los argentinos, pues los feed-lots producen 11 de los 14 millones de cabezas de ganado que se faenan por año. El resto son animales criados a campo con pasturas, que van a exportación o a cortes de alto precio.

Lo mismo ocurre con las demás producciones desplazadas por la sojización, como la horticultura, la lechería, la fruticultura, la apicultura, y la producción familiar en general, lo cual ha afectado notoriamente los precios y la oferta -en cantidad y calidad- de frutas, verduras y lácteos.

La producción familiar que debería ser la base de la recomposición de un modelo productivo, sano, solidario, democratizador, descentralizador y repoblador del campo argentino, y principalmente productor de alimentos, por el contrario es arrasada por las fumigaciones aéreas de glifosato -ya limitadas en los EE. UU., y Europa- y por los precios absurdos de la tierra sojizada.

A esto hay que sumarle la depredación al ecosistema, la contaminación de napas, fuentes de agua, arroyos y ríos, la exportación masiva de nutrientes que supera holgadamente los 1500 millones de doláres por año.

La absoluta destrucción del bosque nativo. La destrucción de fuentes de trabajo: la sojaRR crea 2 puestos de trabajo cada 1000 has y destruye 9 de cada 10, debido a su técnica de cultivo por Siembra Directa.

Sumemos también la expulsión masiva de pequeños chacareros y
arrendatarios y la expulsión de comunidades indígenas que los sojeros producen y la degradación del suelo que la repetición del ciclo continuado
soja-trigo-soja produce.

Sumemos la destrucción de la flora, la fauna, la microflora, la
microfauna, y la disminución masiva de la Biodiversidad, que la sojización
produce en forma permanente y continuada desde 1995.

Dejamos para el final, porque lo trataremos aparte, los graves efectos sobre la salud humana que producen los más de 300 millones de litros de agrotóxicos fumigados por campaña sobre la pampa sojizada y la población que la habita.

De tal forma, si uniéramos todos estos costos colaterales y estructurales (los sistemas agrícolas no son circuitos económicos cerrados sino abiertos) que la sojaRR produce a nuestra economía y que hemos abordado en otros artículos, sería poco lo que nos restarían de los aproximadamente 19 mil millones de dólares en bruto, que reportará la enorme cosecha sojera.

Y esos costos en algún momento habrá que asumirlos pues año a año, iremos deteriorando nuestro ecosistema productivo, hasta acabar con el, sin posibilidad de retorno.”

Boscimani e ACQUA

Sono ripetitiva, ma bisogna tener conto anche di quello che accade lontano da noi; di fatti e disagi di cui pochi parlano.

Il problema dell’acqua per i Boscimani è lungo otto anni, o forse di più…

Da Survival:

Mentre il mondo celebra la Giornata Mondiale dell’acqua, i Boscimani Gana e Gwi del Botswana compiono otto anni senza poter accedere a una regolare fonte d’acqua nella Central Kalahari Game Reserve.

Nel tentativo di indurli ad abbandonare la riserva, loro terra ancestrale, nel 2002 il governo del Botswana aveva smantellato e cementato il pozzo da cui i Boscimani dipendevano per gli approvvigionamenti dell’acqua.

Nonostante la sentenza dell’Alta Corte del Botswana che nel 2006 sancì il diritto costituzionale dei Boscimani a vivere nella riserva, il governo ha continuato a negare loro il permesso di rimettere in funzione il pozzo, anche se i Boscimani si erano dichiarati disposti a procurarsi da soli il denaro necessario a coprirne i costi.

Contemporaneamente, mentre costringeva i Boscimani ad affrontare un viaggio di 480 km per andare ad attingere l’acqua fuori, il governo autorizzava l’apertura di un complesso turistico nelle loro terre, dotato di piscina, e faceva scavare pozzi per abbeverare gli animali selvatici.

Il trattamento riservato ai Boscimani dal governo è stato recentemente condannato dal Relatore Speciale delle Nazioni Unite sui popoli indigeni, che lo ha accusato di non esser riuscito a rispettare “i relativi standard internazionali sui diritti umani”.

Nel dossier si costata anche che i Boscimani rientrati nella riserva dopo la sentenza “devono affrontare condizioni di vita dure e pericolose a causa dell’impossibilità di accedere all’acqua”, e si sollecita il governo a riattivare il loro pozzo come “questione della massima urgenza”.

Dopo la sentenza, molti Boscimani sono rientrati a casa, nelle terre ancestrali del Kalahari.

Tuttavia, poiché non possono accedere al pozzo, sono soggetti a grave carenza d’acqua; dal giorno della chiusura del pozzo c’è stata almeno una morte accertata per disidratazione.

Molti altri Boscimani continuare a languire nei campi di reinsediamento in cui sono stati scaricati dalle autorità perché hanno paura di ritornare a casa sapendo di non poter accedere a una fonte d’acqua.

Duemila giorni dopo la chiusura del pozzo, i Boscimani hanno intentato una nuova causa legale contro il governo con l’obiettivo di riconquistare il diritto di utilizzare il pozzo.

NO PATENTS ON SEED

Firmate l’APPELLO MONDIALE
contro la “Monsantizzazione” del cibo, delle sementi e degli animali
http://www.keinpatent.de/index.php?id=138&L=5 (link diretto all’appello)

Riprendendo la campagna contro la brevettabilità della materia vivente che per molti anni, quale CSA (Comitato Scientifico Antivivisezionista) abbiamo portato avanti, e quali sostenitori della Coalizione “No Patents on Seeds” (Bern declaration, Greenpeace, Misereor, No Patents on Life!, Development Fund e SWISSAID), vi trasmettiamo il presente Appello mondiale contro la “Monsantizzazione” del cibo, delle sementi e degli animali da allevamento.

Il termine “Monsantizzazione” fa riferimento alla Monsanto – in quanto multinazionale più aggressiva di ogni altra nel suo incessante desiderio di espansione – per avvertire che tutta la produzione, lungo la filiera che dalle sementi giunge al prodotto finito, rischia di essere controllata da un numero sempre più ridotto di aziende private (come Monsanto, Dupont, Syngenta), il cui potere sarà sempre crescente.

Nell’appello si chiede ai Governi, ai politici e agli Uffici brevetto di tutto il mondo di porre fine alla concessione di brevetti su sementi e animali. Il numero delle domande di brevetto su piante e animali, infatti, sta aumentando con allarmante rapidità (si è giunti a concedere brevetti anche su organismi non geneticamente modificati).

La perdita di autonomia e l’innalzamento del debito degli agricoltori, la riduzione delle varietà di piante e animali, le sempre crescenti restrizioni per attività di allevamento e di ricerca, e la concentrazione della produzione di sementi, rappresentano alcuni degli effetti più preoccupanti di questo fenomeno.

L’Appello mondiale, firmato da quante più persone e organizzazioni possibile, sarà consegnato ai Governi e agli Uffici Brevetto di tutto il mondo a fine marzo, nel corso di una giornata mondiale di azione contro i brevetti.

Per ottenere un cambiamento politico tale da fermare la brevettazione – ovvero la privatizzazione – di piante e animali, maggiore “bene comune” di questo pianeta, abbiamo bisogno del vostro aiuto.

Firmate l’Appello mondiale a questo indirizzo: http://www.keinpatent.de/index.php?id=138&L=5
e attivatevi nel vostro paese per farlo circolare e firmare tra amici e organizzazioni di vostra conoscenza. Partecipate all’azione mondiale che avrà luogo tra fine di marzo e fine aprile 2010, quando l’appello sarà presentato alle autorità, ai Governi e agli Uffici Brevetto.

L’Appello può essere firmato sia da privati e che da organizzazioni.

APPELLO MONDIALE
Contro la “Monsantizzazione” del cibo, delle sementi e degli animali No ai brevetti sulle piante e gli animali!

Chiedo:

· Che i brevetti sulle sementi e gli animali da allevamento siano vietati in tutto il mondo · Che le autorità politiche e gli uffici brevetto intervengano al più presto per bloccare la concessione di brevetti su piante e animali ottenuti mediante riproduzione convenzionale, nonché su sequenze di DNA utilizzate con tecniche di riproduzione convenzionale come la selezione assistita da marcatori.

FERMIAMO LA “MONSANTIZZAZIONE” DEL CIBO, DELLE SEMENTI E DEGLI ANIMALI!

Associazioni di agricoltori di tutto il mondo, allevatori, istituzioni delle Nazioni Unite e organizzazioni che si occupano di sviluppo e di ambiente hanno ripetutamente sollevato enormi preoccupazioni sull’aumento della monopolizzazione di sementi e di animali attraverso i brevetti nel corso degli anni più recenti.

La perdita di autonomia e l’innalzamento del debito degli agricoltori, la riduzione delle varietà di piante e animali, e le sempre più crescenti restrizioni per attività di allevamento e di ricerca rappresentano alcuni degli effetti più preoccupanti di questa tendenza.

Ma nonostante questa allarmante situazione non è stato attualmente preso alcun provvedimento legale per fermarla. Al contrario, secondo un’indagine recente sulle domande depositate presso l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (WIPO), le grandi aziende internazionali delle sementi cercano sempre più di imporre il proprio monopolio senza preoccuparsi delle conseguenze sulla sicurezza alimentare mondiale e sulla capacità di sostentamento degli agricoltori di tutto il mondo.

Lo dimostrano le recenti domande di brevetto depositate dalle tre società leader a livello mondiale: Monsanto (USA), Dupont (USA) e Syngenta (Svizzera).
I cittadini, le organizzazioni e le istituzioni firmatari chiedono ai governi ed agli Uffici brevetto di fermare questo sviluppo preoccupante e di rivedere le attuali leggi brevettuali.

Le leggi della UE, degli USA e di molti altri Paesi, così come gli Accordi Internazionali sulla Proprietà Intellettuale (TRIPS) del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio), necessitano di una urgente revisione per fermare la monopolizzazione ed il controllo delle risorse genetiche mondiali da parte delle imprese.

Tale revisione deve condurre ad una regolamentazione che garantisca il diritto al cibo e un divieto dei brevetti su piante e animali.

Gli esempi che seguono mostrano alcune delle richieste di brevetto portate all’estremo. Molte delle rivendicazioni in esse contenute si possono descrivere come assurde e ridicole. Queste richieste dimostrano a quale eccesso si sia giunti con le attuali leggi brevettuali e quanto esse siano inadeguate.

In soli quattro anni, tra il 2005 ed il 2009, la Monsanto ha presentato presso il WIPO circa 150 domande di brevetto sulla riproduzione delle piante. Tali richieste dimostrano una tendenza crescente a pretendere diritti esclusivi di proprietà su piante e animali non soltanto geneticamente modificati ma anche facenti parte della biodiversità esistente, nonché sui metodi di riproduzione convenzionali.

Prima del 2005 sono state depositate solo alcune domande di questo tipo, mentre tra il 2005 ed il 2009 oltre il 30% delle domande di brevetto della Monsanto ha riguardato la riproduzione di piante convenzionali: una tendenza che si osserva anche con le altre grandi multinazionali sementiere.

Nello stesso periodo Dupont ha depositato circa 170 domande di brevetto sulla riproduzione delle piante, il 25% delle quali riguardanti la riproduzione convenzionale; Syngenta ha depositato circa 60 domande, il 50% delle quali riguardanti la riproduzione tradizionale. Tra le grandi società sementiere, la Monsanto è l’unica che abbia depositato domande di brevetto anche sugli animali: dal 2005 l’azienda nordamericana ha depositato circa 20 brevetti sulla riproduzione di animali.

Esempi:
· Nella domanda di brevetto WO2008021413 (“monsantizzazione” del mais e della soia) la Monsanto vuole ottenere la proprietà esclusiva di metodi ampiamente utilizzati nell’ambito della riproduzione convenzionale. In oltre 1.000 pagine e 175 rivendicazioni, la Monsanto chiede l’utilizzo esclusivo di diverse sequenze e variazioni genetiche, in particolare del mais e della soia. La Monsanto giunge anche a rivendicare tutte le piante di mais e di soia che contengono tali elementi genetici. Nel brevetto, inoltre, vengono elencati tutti gli usi concernenti il cibo, l’alimentazione e le biomasse.

Introducendo nelle richieste specifiche applicazioni regionali, la Monsanto mostra di voler utilizzare il brevetto in Europa, in Argentina e in Canada. · Nella domanda di brevetto WO2009011847, (“monsantizzazione” della carne e del latte”) la Monsanto rivendica senza esitazioni metodi di riproduzione animale, gli stessi animali e finanche “il latte, il formaggio, il burro e la carne”. ·

Altre società portano avanti una strategia parimenti aggressiva, depositando domande di brevetto sulle risorse genetiche necessarie alla produzione del cibo e dei mangimi. Un esempio è la domanda di brevetto WO2008087208, (“brevetto della Syngenta sul rendimento del mais”), riguardante le caratteristiche genetiche che determinano il rendimento del mais.

Nella domanda la Syngenta rivendica le piante e finanche il raccolto!

· Diversi brevetti simili sono stati già concessi. Tra questi, il brevetto sulla riproduzione della soia WO98/45448 (“brevetto della Dupont sul tofu”), concesso in Europa, in Australia e negli Stati Uniti e riguardante il tofu, il latte di soia e gli alimenti per bambini derivati dalla soia.

Questa domanda di brevetto, o altre della stessa tipologia, sono state depositate anche in Brasile, in Canada, in Cina, in Giappone, in Norvegia e in Nuova Zelanda.

Brevetti di questo tipo rappresentano l’ossatura di una strategia volta ad ottenere il controllo globale di tutti i livelli della produzione alimentare. Essi non solo frenano la ricerca e l’innovazione, ma mirano anche a bloccare l’accesso alle risorse genetiche e alla tecnologia, creando nel contempo nuove dipendenze per i contadini, i selezionatori ed i produttori alimentari.

Tuttavia la resistenza a questo sopruso (chiamato “monsantizzazione” dell’alimentazione) si sta costituendo e sta crescendo:
Nel 2007, associazioni di agricoltori e di ONG di tutto il mondo hanno creato la piattaforma mondiale “No Patents on Seeds”. Nel 2008 l’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO) è stato sommerso da centinaia di lettere sul caso del brevetto sul broccolo, PE1069819, che viene scelto emblematicamente perché la sua approvazione, si ritiene crei un precedente.

Nel 2009 migliaia di agricoltori e di cittadini, oltre che di ONG e delle stesse autorità governative, hanno presentato un ricorso contro il brevetto europeo PE 1651777 sulla riproduzione dei maiali, richiesto dalla Monsanto nel 2004.

Film Denuncia E Claudio Santamaria Per I 40 Anni di Survival

Prima di proporvi l’intervista a Francesca Casella, voglio soltanto ricordare che antropologicamente i popoli non possono evolvere – volendola dire alla Tabucchi: “evoluire” – senza la salvaguardia della biodiversità dei popoli e dei loro linguaggi.

Survival International compie 40 anni e celebra oggi i progressi compiuti nella difesa dei diritti umani dei popoli indigeni di tutto il mondo con un film-denuncia a sostegno della remota tribù dei Dongria Kondh. A narrare la loro storia è l’attore Claudio Santamaria, testimonial dell’associazione.

“Il lavoro di Survival è iniziato nel 1969 in un seminterrato di Londra, dove un pugno di volontari condivideva l’angusto spazio con altre piccole associazioni” racconta Francesca Casella, direttrice della sede italiana. “Da allora, è stata fatta tantissima strada.”

“All’epoca, i problemi maggiori dei popoli indigeni erano gli stermini di massa, la schiavitù, le epidemie e la disperazione di vedere improvvisamente cancellato il proprio universo nella quasi totale indifferenza del resto del mondo.

Oggi, ovunque abitino, molti popoli tribali continuano ad essere privati dei mezzi di sussistenza e costretti a cambiare vita; le loro terre restano invase da coloni, minatori, tagliatori di legna; i loro villaggi inondati da dighe e spazzati via da allevamenti di bestiame o parchi turistici. Tuttavia, l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei loro confronti è radicalmente cambiato.”

“Laddove quarant’anni fa l’assimilazione e l’estinzione dei popoli indigeni venivano date per scontate ed erano giudicate solo come un doloroso ma inevitabile prezzo da pagare nel nome del progresso, oggi, in molti hanno cominciato a riconoscere l’inalienabilità dei loro diritti, finalmente protetti anche dalle leggi internazionali e dalle costituzioni di molti paesi, soprattutto in Sud America. E il movimento indigeno mondiale è più forte che mai.”

“Certo – continua Francesca Casella – gli ostacoli da superare restano tantissimi: l’avidità, la miopia, il razzismo e le dittature… Ma le persone decise a lottare per aiutare i popoli tribali a mantenere il loro posto nel mondo e a determinare autonomamente il loro futuro, sono sempre più numerose.

È probabilmente questo il successo più importante raccolto sinora da Survival o, meglio, dai popoli indigeni stessi con il sostegno di migliaia di persone da ogni parte del pianeta.”

Survival è unica organizzazione che lanci campagne in difesa dei popoli indigeni di tutto il mondo. Aiuta le tribù più minacciate a difendere le loro vite, a proteggere le loro terre e a decidere autonomamente del proprio futuro contro ogni forma di pregiudizio e discriminazione.

Attraverso azioni mirate e un’intensa azione di lobbying, nel corso del tempo ha conseguito molti successi tra cui la creazione del Parco Yanomami nel 1992, in Brasile, il riconoscimento del diritto della tribù dei Jarawa a decidere del proprio futuro in India nel 2004, e la storica vittoria giudiziaria dei Boscimani del Kalahari del dicembre 2006. E tantissimi altri.

Attualmente sta seguendo circa 80 casi, distribuiti in 40 paesi diversi. Tra le campagne più urgenti c’è quella per i Dongria Kondh di Orissa, in India, minacciati dal gigante minerario Vedanta Resources.

A raccontare la loro lotta per impedire a una miniera di bauxite di distruggere la loro terra e la loro esistenza è il commovente documentario-denuncia “Mine. Storia di una miniera sacra”. Il filmato è stato presentato oggi in italiano con il sostegno di Claudio Santamaria, sua voce narrante.

Dopo nove mesi di indagini su un ricorso presentato da Survival all’OCSE, nell’ottobre scorso il governo britannico ha finalmente condannato la società Vedanta per il comportamento tenuto nei confronti dei Dongria e le ha imposto un “radicale cambiamento d’atteggiamento” ma a tutt’oggi nulla è mutato. Una squadra di Survival è tornata quindi sul campo la settimana scorsa.

“Per mantenere la nostra indipendenza – conclude Francesca Casella – non accettiamo fondi da nessun governo. A finanziare le nostre attività sono solo le donazioni dei sostenitori e i proventi delle attività di raccolta fondi. Spero che in molti vogliano quindi aiutarci a continuare il nostro importante lavoro finchè ai popoli indigeni non sarà stato riconosciuto il loro legittimo posto nel mondo.

Le loro sono società ricche, contemporanee e vibranti, e chiedono solo di poter continuare a vivere, libere da persecuzioni e secondo sili di vita e di sviluppo liberamente scelti.”

Ayoreo: gli allevatori radono la foresta!

colouredmuslimwoman

Gli allevatori di bestiame stanno rapidamente e illegalmente radendo al suolo la foresta abitata dall’unico popolo incontattato rimasto in Sud America al di fuori del bacino amazzonico.

Gli Ayoreo-Totobiegosode sono attualmente l’unica tribù incontattata, e vulnerabile, del mondo; stanno perdendo la terra ancestrale a causa della produzione di carne di manzo.

Le foto scattate dal satellite, quindi il fatto è sotto i nostri occhi, evidentissimo,  il primo novembre hanno immortalato le attività illegali degli allevatori. A partire dal giorno seguente, il due novembre, Survival ha cominciato a diffondere una campagna pubblicitaria che denuncia la deforestazione in corso mediante la più importante emittente radiofonica del Paraguay, Radio Nanduti.

Gli allevatori stanno operando nel territorio della tribù nonostante il Ministro dell’Ambiente abbia sospeso la licenza della loro società, la Yaguarete Pora S.A, a causa delle sue precedenti attività illegali.

Per radere al suolo le terre degli Ayoreo-Totobiegosode e trasformarle in pascoli, gli allevatori utilizzano bulldozer che si dice appartengano a Jacobo Kauenhowen, proprietario di una grande industria di bulldozer in una vicina colonia mennonita.

“Per i Totobiegosode si tratta di una minaccia molto seria” denuncia la Ong paraguayana GAT, impegnata a proteggere le terre degli Ayoreo. “La deforestazione compiuta illegalmente dalla Yaguarete in Paraguay procede ovunque senza controllo.”

L’anno scorso, insieme ad un’altra società brasiliana di nome River Plate S.A., la Yaguarete aveva già distrutto migliaia di ettari di terra ayoreo.

Alcuni Totobiegosode sono già stati contattati ma nella foresta continuano a vivere molti dei loro parenti isolati.

I Kayapo’, le Dighe Idroelettriche e Survival.

woodwomansol

Tre giorni fa circa si è risaputo che gli indiani Kayapó hanno organizzato una nuova ondata di proteste contro un gigantesco progetto idroelettrico in via di realizzazione sullo Xingu, uno dei principali fiumi dell’Amazzonia.

Dal 28 ottobre  stanno manifestando, e lo faranno per una intera settimana, presso la comunità kayapó di Piaraçu.

Sul posto sono stati invitati rappresentanti del Ministero alle Miniere e all’Energia, e del Ministero dell’Ambiente. I Kayapó e altri popoli indigeni locali si oppongono alla costruzione della diga denunciando di non essere mai stati consultati in modo appropriato e nemmeno informati sul reale impatto che il progetto avrà sulle loro terre.

La diga devierà più dell’80% della portata del fiume Xingu, con un pesante impatto sulla sua fauna ittica e l’ecosistema della foresta per almeno 100 chilometri di rive abitate da popoli indigeni. Survival ha inoltrato formali proteste al governo.

I Kayapó sono furiosi con Edison Lobão, Ministro alle Miniere e all’Energia, che recentemente avrebbe affermato che “forze demoniache” starebbero cercando di impedire la realizzazione delle grandi dighe idroelettriche del Brasile. “Queste parole sono abiette e offensive nei confronti nostri e di tutti coloro che difendono la Natura” ha commentato il leader Kayapó Megaron Txucarramae.

Belo Monte è una delle più grandi infrastrutture previste dal “Programma di crescita accelerata” varato dal governo. Già nel 1989 i Kayapó avevano organizzato una massiccia protesta contro la costruzione di una serie di dighe sullo Xingu. All’epoca riuscirono a fermare i finanziamenti della Banca Mondiale e a far accantonare il progetto.

Oggetto delle proteste dei popoli indigeni sono anche altre dighe previste su altri fiumi amazzonici. Un anno fa, gli Enawene Nawe misero a soqquadro un cantiere con l’obiettivo di impedire la realizzazione di decine di dighe lungo il fiume Juruena. Secondo gli Indiani, gli impianti idroelettrici distruggeranno i pesci da cui dipende la loro sopravvivenza.

Nell’Amazzonia occidentale, la diga di Santo Antônio sommergerà la terra in cui vivono almeno 5 gruppi di popoli incontattati. La diga fa parte di un progetto più ampio che prevede la costruzione di una serie di impianti sul fiume Madeira. Si pensa che uno di questi popoli isolati viva a soli 14 km di distanza dalla diga principale.

In una lettera indirizzata al Presidente Lula, i Kayapó spiegano chiaramente la loro posizione: “Noi non vogliamo che questa diga distrugga gli ecosistemi e la biodiversità che abbiamo curato per millenni e che possiamo continuare a preservare. Signor Presidente, la nostra preghiera è quella che vengano condotti studi adeguati e che venga aperto un dialogo con i popoli indigeni su quello che è lo scrigno ecologico dei nostri antenati… Vogliamo partecipare a questo processo senza essere considerati demoni impegnati a impedire il progresso della nazione”.

“È stato tenuto nascosto il reale impatto di queste dighe” ha commentato Stephen Corry, ormai famoso direttore generale di Survival, “Se i lavori dovessero procedere, verranno distrutti le vite, le terre e i mezzi di sussistenza di molte tribù. Non c’è risarcimento che possa compensare un danno di tale gravità, perchè verranno fatti a pezzi le vite e l’indipendenza di interi popoli.”

Dongria Kondh: Vedanta Resources condannata.

Dopo nove mesi di indagini, il governo britannico ha condannato  la società Vedanta Resources per il comportamento tenuto nei confronti della tribù dei Dongria Kondh a Orissa, in India.

L’umiliante sentenza arriva in risposta al ricorso depositato da Survival International presso il Punto di contatto nazionale britannico dell’OCSE, l’Organizzazione internazionale per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Dopo aver accolto la richiesta di Survival, il governo ha giudicato Vedanta secondo le Linee guida dell’OCSE – che definiscono i principi fondamentali per la condotta etica delle compagnie occidentali.

La sentenza contro Vedanta, che è una delle cento società più capitalizzate quotate allo Stock Exchange di Londra (FTSE-100), non ha precedenti nella storia delle relazioni tra il governo britannico e le più importanti aziende della nazione. “Vedanta non ha rispettato i diritti dei Dongria Kondh” ha dichiarato il governo, “non ha considerato l’impatto della costruzione della miniera sui diritti della tribù”; e “ha mancato di attivare adeguati e tempestivi meccanismi di consultazione […]. È “essenziale” “un cambio d’atteggiamento da parte della compagnia”.

Nonostante le ripetute richieste, “durante l’indagine [la Vedanta] non ha fornito prove” ha specificato il governo britannico. Si tratta di un atteggiamento sconcertante perché mai prima d’ora una società si era rifiutata di collaborare a un’investigazione OCSE.

Durante una precedente intervista, la celebre scrittrice Arundhati Roy aveva dichiarato: “Se permetteremo a Vedanta di estrarre bauxite dalle colline di Niyamgiri, verrà devastato un intero ecosistema, e saranno distrutte non solo le comunità dei Dongria Kondh ma anche tutti coloro i cui mezzi di sussistenza dipendono da tale ecosistema”.

Il parlamentare britannico Martin Horwood, presidente del gruppo parlamentare bipartisan per i popoli indigeni (All-Party Group for Tribal Peoples) ha commentato: “Sono compiaciuto che il governo abbia emesso una sentenza di condanna sul caso Vedanta. La sentenza costituisce un’altra potente dimostrazione che la compagnia deve cambiare in modo radicale il suo modo di operare”.

Stephen Corry (Survival): “Siamo molto felici che il governo britannico abbia finalmente preso posizione su questa vicenda. L’estrazione della bauxite da Niyamgiri è già diventato uno dei progetti minerari più famigerati al mondo. La Vedanta non si è nemmeno preoccupata di informare i Dongria Kondh dei suoi propositi di trasformare la loro montagna sacra in una gigantesca miniera a cielo aperto; eppure, i Dongria hanno il diritto di dare – o negare!– il loro consenso. Al di là di qualsiasi altra considerazione, si tratta di un progetto destinato ad avere un terribile, drammatico impatto sulle loro vite.”

Per Vedanta e il suo proprietario di maggioranza, il miliardario Anil Agarwal, è il terzo grande smacco pubblico in soli cinque mesi. In giugno, non appena alcuni manifestanti riuscirono a portare all’attenzione della giuria alcuni dettagli del suo progetto minerario, a compagnia si vide ritirare all’ultimo momento un importante premio ambientale. Mentre in agosto, il Ministro indiano all’Ambiente ha ammesso che il progetto non avrebbe mai dovuto essere approvato.

APPELLO per la COSTITUZIONE.

Invitiamo le donne e gli uomini che condividono questo Appello ad aderire.
L’Appello sarà consegnato, con allegato tutte le adesioni, alle tre principali cariche dello Stato: al Presidente della Repubblica, al Presidente del Senato e della Camera dei Deputati.

Tutti coloro che lo sottoscrivono sono invitati il 18 ottobre a Firenze, alle ore 17.30.
Ritroviamoci tutti al Festival della Creatività, presso la Fortezza da Basso, per dare voce alla domanda di serenità, di giustizia e di legalità.

APPELLO PER LA NOSTRA COSTITUZIONE

L’Italia non può vivere in un clima di permanente conflitto istituzionale e di drammatica lacerazione tra cittadini e politica. Né può progredire se si mettono l’uno contro l’altro il popolo e le Istituzioni.

Serve adesso, in un tempo di crisi grave per l’economia e l’occupazione, una forte coesione nazionale, un equilibrio vero tra i poteri, il rispetto delle regole da parte di tutti. Quel che accade in questi giorni, dopo la sentenza della Consulta che ha annullato il lodo Alfano, preoccupa tutti coloro che hanno a cuore le sorti del Paese e della sua democrazia.

Non è in discussione il diritto di governare da parte di chi ha vinto le elezione. Ma il governo deve realizzarsi dentro le regole costituzionali, senza delegittimare gli altri poteri, senza scossoni che dividano il paese e la sua coscienza. Ora è il momento di consolidare e rinvigorire la Costituzione repubblicana, gli Organi dello Stato, la natura popolare e non populista, democratica e non demagogica dell’Italia nata dalla Liberazione.

Facciamo appello al sentimento di attaccamento alla Costituzione ed alla mobilitazione civica in sua difesa. Contro l’apatia, l’indifferenza, la distrazione verso il proprio particolare. Esprimiamo solidarietà e sostegno al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dimostratosi garante fedele e rigoroso dell’unità nazionale e dello spirito autentico della Costituzione.

Per costruire il futuro di questo paese è indispensabile il rispetto dello spirito e dei valori della nostra Costituzione: l’unità della Repubblica, il primato della persona, la divisione dei poteri, la libertà in tutte le articolazioni, il ripudio della guerra, l’autonomia della magistratura. Valori fondanti per una nuova e più solida democrazia di cui l’Italia ha bisogno.

Claudio Martini
http://www.claudiomartini.it

Le Torte di Manioca dei KALAPALO.

licosa_11

Si estendeva per sei milioni e mezzo di chilometri quadrati ed era abitata da circa novantamila indios: così nel 1979 si presentava la foresta amazzonica, l’inestricabile groviglio di vegetali che custodiva la mitica anaconda, i colibrì e le farfalle (ritenute di buon augurio, da quelle parti).

Tra la vegetazione della foresta amazzonica, sulle rive di fiumi come lo Xingù, gli indios Kalapalo, popolazione formata da diverse tribu’, quali Kamayura, Yawalapiti, Waura, Mehinaku, si riconoscono in una sola identità culturale (Xinguanos).

Questi indios sin dagli anni ’70, dello scorso secolo, a causa della costruzione di una strada che attraversa il Brasile centrale, in gran numero, furono annientati dagli speculatori con questa motivazione: “Disturbano!”

I novantamila indios che vivevano nei villaggi, sino a poco prima degli anni Settanta, non erano mai venuti a contatto con la civiltà moderna (e non s’erano persi nulla, a mio parere!). Vivevano di caccia pesca e agricoltura; oltre alla manioca, coltivavano mais, cotone e tabacco.

All’esaurirsi della fertilità dei suoli coltivati, ricorrevano al fuoco per procurarsi nuovi terreni. Scelti i terreni, infatti, con asce di pietra ne abbattevano gli alberi e ne bruciavano il sottobosco, così che le ceneri potessero concimare la terra.

I Kalapalo avevano già scoperto l’importanza della foresta; da un gran numero di piante originarie e presenti nella foresta ricavavano droghe medicamentose, veleni e stupefacenti.

Addirittura sembra che, da una specie di Passiflora, riuscivano a ottenere una bevanda dagli effetti anticoncezionali simili ai moderni presidi chimici.

Il sale, invece, era ottenuto dalla cenere dei giacinti d’acqua ridotti in polvere cristallina.

Il veleno mortale – il curaro – delle frecce, utilizzate per la caccia, era invece ricavato dalle cortecce di numerosissime Strycnos; il curaro era in grado di paralizzare la muscolatura respiratoria, non nuoceva quindi a chi avrebbe dovuto mangiare le carni dell’animale ucciso.

La base dell’alimentazione di queste genti, comunque, era essenzialmente
la manioca.

Gli indigeni, infatti, avevano scoperto come estrarre dalla radice marrone e farinosa la dose di acido cianidrico che avrebbe potuto ucciderli.

Raschiavano infatti la radice con una conchiglia affilata, fino a renderla del tutto bianca; con un pezzo di legno intagliato e cosparso di decine di piccole spine, poi, grattavano la polpa bianca raccogliendola in una specie di colino (fuavi).

Il fuavi contenente la polpa veniva quindi posto su una grande pentola di terracotta sul cui fondo, lentamente, si depositava l’acido cianidrico che veniva così separato dalla polpa.

Con la polpa resa commestibile, finalmente, le donne Kalapalo avrebbero potuto preparare dorate torte di manioca.

Non siamo quelli a maggior rischio!

colouredwomanvel

Un recentissimo rapporto di Survival International, (associazione per i diritti umani) denuncia i gravissimi rischi a cui l’influenza suina sta esponendo i popoli indigeni del mondo a causa delle loro basse difese immunitarie e dell’alta incidenza di alcune malattie croniche.

Il rapporto, intitolato “Influenza suina e popoli indigeni” (scaricabile dal sito survuval.it ed è in .pdf) illustra come i popoli indigeni di Canada e Australia siano già stati duramente colpiti dalla pandemia a causa dell’impoverimento delle loro comunità, del sovraffollamento e della mancanza di adeguate misure igieniche.

Tra di loro si registra anche un’incidenza di malattie croniche come diabete, disturbi cardiaci, obesità e alcolismo.

Il direttore generale di Survival International, Stephen Corry: “Non sorprende che siano proprio i popoli tribali a essere più gravemente colpiti dall’influenza suina. Anni di colonialismo e di politiche di assimilazione forzata li hanno gettati nell’indigenza e hanno lasciato loro in eredità problemi di salute cronici. Questo rapporto offre una lucida lettura del problema, ma speriamo possa servire anche come monito per quei governi che per troppo tempo hanno ignorato i bisogni sanitari delle loro popolazioni più vulnerabili”.

Il rapporto viene pubblicato a pochi giorni dalla consegna di sacche per cadaveri alle comunità delle Prime Nazioni del Manitoba, in Canada, assieme a mascherine e disinfettanti per le mani.

Tra le comunità delle Prime Nazioni della provincia, i casi di influenza suina ammontano già a 130 ogni 100.000 abitanti, di contro ai 24 ogni 100.000 che si registrano tra il resto della popolazione. Nonostante molte famiglie non abbiano accesso all’acqua pulita, il governo del Canada ha tardato a inviare i disinfettanti alle comunità della riserva, in cui è diffuso l’alcolismo, per timore che la gente potesse berli.

“Ho rivolto un appello al popolo del Canada perché lavori con noi per far sì che questo virus mostruoso mieta il minor numero possibile di morti” ha dichiarato il Grande Capo David Harper alla CBC. “Non spediteci sacche per i cadaveri. Aiutateci a organizzarci, mandateci medicine.”

E Armand MacKenzie, della Nazione Innu del Canada orientale ha aggiunto: “Voglio sperare che in Canada, le parole “i più alti standard di salute raggiungibili” stiano a significare qualcosa di più che spedire sacche per cadaveri alle comunità indigene delle Prime Nazioni. Per affrontare la pandemia ci occorre un vero programma, gestito in collaborazione con noi indigeni.

Il rapporto di Survival  solleva grande preoccupazione per le sorti delle tribù isolate che non hanno difese immunitarie contro le malattie provenienti dall’esterno.

Tra di loro, persino un semplice raffreddore può rivelarsi fatale.

Nell’Amazzonia peruviana, i membri della tribù dei Matsigenka sono già stati colpiti dall’influenza suina, e questo fa temere il diffondersi del contagio tra le tribù incontattate che risiedono nelle vicinanze. Qualsiasi contatto con esterni portatori del virus potrebbe devastare intere comunità.

“Ci appelliamo anche al senso di responsabilità dei turisti” conclude Francesca Casella, di Survival Italia. “Alcuni tour operator hanno aperto resort di lusso a pochi metri di distanza dalle terre abitati da alcuni dei popoli più isolati e vulnerabili del mondo, come i Jarawa delle Isole Andamane.

Non esistono precauzioni efficaci contro l’importazione del virus nei loro villaggi. Per scongiurare epidemie devastanti, potenzialmente capaci di provocare la totale estinzione di questi popoli, occorre stargli alla larga.”