Soja transgenica, Monsanto e la Pampa.

Da pochissimo la comunità europea ha autorizzato l’utilizzazione di prodotti transgenici.

02.03.2010 – Ore 12.08. L’Ansa annuncia: «Via libera della Commissione Ue alla coltura in Europa della patata transgenica Amflora, per uso industriale. Il via libera sarà accompagnato dal lancio del dibattito politico sul futuro del dossier degli Ogm nell’Ue seguendo la linea del presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, il quale ha dichiarato nelle scorse settimane “di non voler imporre la coltura degli Ogm in Europa”».

Molti di noi sanno, ormai (ma lo abbiamo realizzato bene?), che da tanto ormai, nonostante il divieto, un gran numero di cibi, che consumiamo, contengono soja e mais transgenico (i primissimi prodotti a esser stati manipolati).

Proprio ieri, libera da qualche impegno, mi sono imbattuta nell’articolo che riporto di seguito – interessantissimo – e che “illustra” quello che è accaduto e sta accadendo per produrre la soja transgenica.

Stanno – ovviamente – cercando di “occultare” studi e ricerche, qualcosa però riesce a passare le maglie della… “censura”?

L’articolo è in spagnolo – non lo traduco perché non conosco così bene lo spagnolo da poter fare una traduzione – credo però che la maggior parte possa comprendelo; la versione intera di quello che è qui riportato si trova qui:

http://tierralibertadyterritorio-tlyt.ning.com/profiles/blogs/alberto-lapolla

è interessante leggere anche tutto il resto perché per produrre soja, in Argentina, si stanno creando disastri ambientali, alla salute delle persone, senza alcun beneficio.

Ecco l’articolo di Alberto J. Lapolla (Ingegnere Agronomo, genetista e storico, Direttore dell’ Instituto de Formación de la CMP).

“Según todo indica la cosecha de sojaRR (transgénica-forrajera) de esta campaña 2009-2010, orillará las 52 millones de Tn, abarcando la friolera de 19 millones de has sembradas. Lo cual implica
alrededor del 57 % de la producción total de granos y el 55%
del área
sembrada. Esto es, una profundización aun mayor del monocultivo sojero y del proceso de sojización.

Proceso que pagamos destruyendo casi todas las demás actividades agrícolas y transformando a uno de los mejores ecosistemas del mundo para producir alimentos, en una factoría neocolonial de producción de ‘pasto-soja’, subsidiando la producción industrial de China, la India y la Unión Europea.

Países que no desean producir materias primas a ser usadas en cadenas
alimenticias secundarias, las que compran a países del Tercer Mundo (nosotros) mientras destinan todos sus recursos agrícolas a producir alimentos, sosteniendo su soberanía alimentaria, contrapartida de un proceso de industrialización exitoso, tal cual hicimos los argentinos entre 1945 y 1976.

La Argentina por el contrario destina la mayor superficie posible de de su
feraz pradera pampeana (más de 35 millones de hectáreas) a producir parte de la cadena alimenticia de otros países, ignorando o debilitando la nuestra. Nuestro vecino Brasil, y el propio Chile -a pesar de su modelo neocolonial- no actúan así. De tal forma la otrora famosa soberanía alimentaria argentina es hoy cosa del pasado.

Hecho que puede comprobarse en el reciente desmedido aumento del precio de la carne, debido a la reducción constante del stock y de la
superficie ganadera, que la sojización produce, expulsando la ganadería a
regiones marginales de menor productividad.

De tal forma, la ganadería perdió desde el inicio de la sojización la increíble cifra de 13.5 millones de has en Pampa húmeda y una cifra cercana a los 3 millones de cabezas por año, en las últimas cinco campañas, produciendo una drástica reducción del stock. Este proceso viene unido a la concentración de la producción de carne para el mercado interno en los feed-lots, que hoy concentran casi el 80% de la producción de carne para consumo interno.

Carne ‘chatarra’ contaminada con antibióticos, anabólicos, hormonas, vacunas, funguicidas, y sobre todo con animales alimentados sin pasturas naturales, con alto nivel de granos, lo cual altera totalmente su composición nutricional, afectando la salud de la población que los consume.

Es decir, la de la mayoría de los argentinos, pues los feed-lots producen 11 de los 14 millones de cabezas de ganado que se faenan por año. El resto son animales criados a campo con pasturas, que van a exportación o a cortes de alto precio.

Lo mismo ocurre con las demás producciones desplazadas por la sojización, como la horticultura, la lechería, la fruticultura, la apicultura, y la producción familiar en general, lo cual ha afectado notoriamente los precios y la oferta -en cantidad y calidad- de frutas, verduras y lácteos.

La producción familiar que debería ser la base de la recomposición de un modelo productivo, sano, solidario, democratizador, descentralizador y repoblador del campo argentino, y principalmente productor de alimentos, por el contrario es arrasada por las fumigaciones aéreas de glifosato -ya limitadas en los EE. UU., y Europa- y por los precios absurdos de la tierra sojizada.

A esto hay que sumarle la depredación al ecosistema, la contaminación de napas, fuentes de agua, arroyos y ríos, la exportación masiva de nutrientes que supera holgadamente los 1500 millones de doláres por año.

La absoluta destrucción del bosque nativo. La destrucción de fuentes de trabajo: la sojaRR crea 2 puestos de trabajo cada 1000 has y destruye 9 de cada 10, debido a su técnica de cultivo por Siembra Directa.

Sumemos también la expulsión masiva de pequeños chacareros y
arrendatarios y la expulsión de comunidades indígenas que los sojeros producen y la degradación del suelo que la repetición del ciclo continuado
soja-trigo-soja produce.

Sumemos la destrucción de la flora, la fauna, la microflora, la
microfauna, y la disminución masiva de la Biodiversidad, que la sojización
produce en forma permanente y continuada desde 1995.

Dejamos para el final, porque lo trataremos aparte, los graves efectos sobre la salud humana que producen los más de 300 millones de litros de agrotóxicos fumigados por campaña sobre la pampa sojizada y la población que la habita.

De tal forma, si uniéramos todos estos costos colaterales y estructurales (los sistemas agrícolas no son circuitos económicos cerrados sino abiertos) que la sojaRR produce a nuestra economía y que hemos abordado en otros artículos, sería poco lo que nos restarían de los aproximadamente 19 mil millones de dólares en bruto, que reportará la enorme cosecha sojera.

Y esos costos en algún momento habrá que asumirlos pues año a año, iremos deteriorando nuestro ecosistema productivo, hasta acabar con el, sin posibilidad de retorno.”

Ripubblicizzazione ACQUA

20 Marzo 2010
Manifestazione nazionale a Roma
Per la ripubblicizzazione dell’acqua, per la tutela di beni comuni, biodiversità e clima, per la democrazia partecipativa

OGGI ALLE 14.00

NO PATENTS ON SEED

Firmate l’APPELLO MONDIALE
contro la “Monsantizzazione” del cibo, delle sementi e degli animali
http://www.keinpatent.de/index.php?id=138&L=5 (link diretto all’appello)

Riprendendo la campagna contro la brevettabilità della materia vivente che per molti anni, quale CSA (Comitato Scientifico Antivivisezionista) abbiamo portato avanti, e quali sostenitori della Coalizione “No Patents on Seeds” (Bern declaration, Greenpeace, Misereor, No Patents on Life!, Development Fund e SWISSAID), vi trasmettiamo il presente Appello mondiale contro la “Monsantizzazione” del cibo, delle sementi e degli animali da allevamento.

Il termine “Monsantizzazione” fa riferimento alla Monsanto – in quanto multinazionale più aggressiva di ogni altra nel suo incessante desiderio di espansione – per avvertire che tutta la produzione, lungo la filiera che dalle sementi giunge al prodotto finito, rischia di essere controllata da un numero sempre più ridotto di aziende private (come Monsanto, Dupont, Syngenta), il cui potere sarà sempre crescente.

Nell’appello si chiede ai Governi, ai politici e agli Uffici brevetto di tutto il mondo di porre fine alla concessione di brevetti su sementi e animali. Il numero delle domande di brevetto su piante e animali, infatti, sta aumentando con allarmante rapidità (si è giunti a concedere brevetti anche su organismi non geneticamente modificati).

La perdita di autonomia e l’innalzamento del debito degli agricoltori, la riduzione delle varietà di piante e animali, le sempre crescenti restrizioni per attività di allevamento e di ricerca, e la concentrazione della produzione di sementi, rappresentano alcuni degli effetti più preoccupanti di questo fenomeno.

L’Appello mondiale, firmato da quante più persone e organizzazioni possibile, sarà consegnato ai Governi e agli Uffici Brevetto di tutto il mondo a fine marzo, nel corso di una giornata mondiale di azione contro i brevetti.

Per ottenere un cambiamento politico tale da fermare la brevettazione – ovvero la privatizzazione – di piante e animali, maggiore “bene comune” di questo pianeta, abbiamo bisogno del vostro aiuto.

Firmate l’Appello mondiale a questo indirizzo: http://www.keinpatent.de/index.php?id=138&L=5
e attivatevi nel vostro paese per farlo circolare e firmare tra amici e organizzazioni di vostra conoscenza. Partecipate all’azione mondiale che avrà luogo tra fine di marzo e fine aprile 2010, quando l’appello sarà presentato alle autorità, ai Governi e agli Uffici Brevetto.

L’Appello può essere firmato sia da privati e che da organizzazioni.

APPELLO MONDIALE
Contro la “Monsantizzazione” del cibo, delle sementi e degli animali No ai brevetti sulle piante e gli animali!

Chiedo:

· Che i brevetti sulle sementi e gli animali da allevamento siano vietati in tutto il mondo · Che le autorità politiche e gli uffici brevetto intervengano al più presto per bloccare la concessione di brevetti su piante e animali ottenuti mediante riproduzione convenzionale, nonché su sequenze di DNA utilizzate con tecniche di riproduzione convenzionale come la selezione assistita da marcatori.

FERMIAMO LA “MONSANTIZZAZIONE” DEL CIBO, DELLE SEMENTI E DEGLI ANIMALI!

Associazioni di agricoltori di tutto il mondo, allevatori, istituzioni delle Nazioni Unite e organizzazioni che si occupano di sviluppo e di ambiente hanno ripetutamente sollevato enormi preoccupazioni sull’aumento della monopolizzazione di sementi e di animali attraverso i brevetti nel corso degli anni più recenti.

La perdita di autonomia e l’innalzamento del debito degli agricoltori, la riduzione delle varietà di piante e animali, e le sempre più crescenti restrizioni per attività di allevamento e di ricerca rappresentano alcuni degli effetti più preoccupanti di questa tendenza.

Ma nonostante questa allarmante situazione non è stato attualmente preso alcun provvedimento legale per fermarla. Al contrario, secondo un’indagine recente sulle domande depositate presso l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (WIPO), le grandi aziende internazionali delle sementi cercano sempre più di imporre il proprio monopolio senza preoccuparsi delle conseguenze sulla sicurezza alimentare mondiale e sulla capacità di sostentamento degli agricoltori di tutto il mondo.

Lo dimostrano le recenti domande di brevetto depositate dalle tre società leader a livello mondiale: Monsanto (USA), Dupont (USA) e Syngenta (Svizzera).
I cittadini, le organizzazioni e le istituzioni firmatari chiedono ai governi ed agli Uffici brevetto di fermare questo sviluppo preoccupante e di rivedere le attuali leggi brevettuali.

Le leggi della UE, degli USA e di molti altri Paesi, così come gli Accordi Internazionali sulla Proprietà Intellettuale (TRIPS) del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio), necessitano di una urgente revisione per fermare la monopolizzazione ed il controllo delle risorse genetiche mondiali da parte delle imprese.

Tale revisione deve condurre ad una regolamentazione che garantisca il diritto al cibo e un divieto dei brevetti su piante e animali.

Gli esempi che seguono mostrano alcune delle richieste di brevetto portate all’estremo. Molte delle rivendicazioni in esse contenute si possono descrivere come assurde e ridicole. Queste richieste dimostrano a quale eccesso si sia giunti con le attuali leggi brevettuali e quanto esse siano inadeguate.

In soli quattro anni, tra il 2005 ed il 2009, la Monsanto ha presentato presso il WIPO circa 150 domande di brevetto sulla riproduzione delle piante. Tali richieste dimostrano una tendenza crescente a pretendere diritti esclusivi di proprietà su piante e animali non soltanto geneticamente modificati ma anche facenti parte della biodiversità esistente, nonché sui metodi di riproduzione convenzionali.

Prima del 2005 sono state depositate solo alcune domande di questo tipo, mentre tra il 2005 ed il 2009 oltre il 30% delle domande di brevetto della Monsanto ha riguardato la riproduzione di piante convenzionali: una tendenza che si osserva anche con le altre grandi multinazionali sementiere.

Nello stesso periodo Dupont ha depositato circa 170 domande di brevetto sulla riproduzione delle piante, il 25% delle quali riguardanti la riproduzione convenzionale; Syngenta ha depositato circa 60 domande, il 50% delle quali riguardanti la riproduzione tradizionale. Tra le grandi società sementiere, la Monsanto è l’unica che abbia depositato domande di brevetto anche sugli animali: dal 2005 l’azienda nordamericana ha depositato circa 20 brevetti sulla riproduzione di animali.

Esempi:
· Nella domanda di brevetto WO2008021413 (“monsantizzazione” del mais e della soia) la Monsanto vuole ottenere la proprietà esclusiva di metodi ampiamente utilizzati nell’ambito della riproduzione convenzionale. In oltre 1.000 pagine e 175 rivendicazioni, la Monsanto chiede l’utilizzo esclusivo di diverse sequenze e variazioni genetiche, in particolare del mais e della soia. La Monsanto giunge anche a rivendicare tutte le piante di mais e di soia che contengono tali elementi genetici. Nel brevetto, inoltre, vengono elencati tutti gli usi concernenti il cibo, l’alimentazione e le biomasse.

Introducendo nelle richieste specifiche applicazioni regionali, la Monsanto mostra di voler utilizzare il brevetto in Europa, in Argentina e in Canada. · Nella domanda di brevetto WO2009011847, (“monsantizzazione” della carne e del latte”) la Monsanto rivendica senza esitazioni metodi di riproduzione animale, gli stessi animali e finanche “il latte, il formaggio, il burro e la carne”. ·

Altre società portano avanti una strategia parimenti aggressiva, depositando domande di brevetto sulle risorse genetiche necessarie alla produzione del cibo e dei mangimi. Un esempio è la domanda di brevetto WO2008087208, (“brevetto della Syngenta sul rendimento del mais”), riguardante le caratteristiche genetiche che determinano il rendimento del mais.

Nella domanda la Syngenta rivendica le piante e finanche il raccolto!

· Diversi brevetti simili sono stati già concessi. Tra questi, il brevetto sulla riproduzione della soia WO98/45448 (“brevetto della Dupont sul tofu”), concesso in Europa, in Australia e negli Stati Uniti e riguardante il tofu, il latte di soia e gli alimenti per bambini derivati dalla soia.

Questa domanda di brevetto, o altre della stessa tipologia, sono state depositate anche in Brasile, in Canada, in Cina, in Giappone, in Norvegia e in Nuova Zelanda.

Brevetti di questo tipo rappresentano l’ossatura di una strategia volta ad ottenere il controllo globale di tutti i livelli della produzione alimentare. Essi non solo frenano la ricerca e l’innovazione, ma mirano anche a bloccare l’accesso alle risorse genetiche e alla tecnologia, creando nel contempo nuove dipendenze per i contadini, i selezionatori ed i produttori alimentari.

Tuttavia la resistenza a questo sopruso (chiamato “monsantizzazione” dell’alimentazione) si sta costituendo e sta crescendo:
Nel 2007, associazioni di agricoltori e di ONG di tutto il mondo hanno creato la piattaforma mondiale “No Patents on Seeds”. Nel 2008 l’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO) è stato sommerso da centinaia di lettere sul caso del brevetto sul broccolo, PE1069819, che viene scelto emblematicamente perché la sua approvazione, si ritiene crei un precedente.

Nel 2009 migliaia di agricoltori e di cittadini, oltre che di ONG e delle stesse autorità governative, hanno presentato un ricorso contro il brevetto europeo PE 1651777 sulla riproduzione dei maiali, richiesto dalla Monsanto nel 2004.

APPELLO per la COSTITUZIONE.

Invitiamo le donne e gli uomini che condividono questo Appello ad aderire.
L’Appello sarà consegnato, con allegato tutte le adesioni, alle tre principali cariche dello Stato: al Presidente della Repubblica, al Presidente del Senato e della Camera dei Deputati.

Tutti coloro che lo sottoscrivono sono invitati il 18 ottobre a Firenze, alle ore 17.30.
Ritroviamoci tutti al Festival della Creatività, presso la Fortezza da Basso, per dare voce alla domanda di serenità, di giustizia e di legalità.

APPELLO PER LA NOSTRA COSTITUZIONE

L’Italia non può vivere in un clima di permanente conflitto istituzionale e di drammatica lacerazione tra cittadini e politica. Né può progredire se si mettono l’uno contro l’altro il popolo e le Istituzioni.

Serve adesso, in un tempo di crisi grave per l’economia e l’occupazione, una forte coesione nazionale, un equilibrio vero tra i poteri, il rispetto delle regole da parte di tutti. Quel che accade in questi giorni, dopo la sentenza della Consulta che ha annullato il lodo Alfano, preoccupa tutti coloro che hanno a cuore le sorti del Paese e della sua democrazia.

Non è in discussione il diritto di governare da parte di chi ha vinto le elezione. Ma il governo deve realizzarsi dentro le regole costituzionali, senza delegittimare gli altri poteri, senza scossoni che dividano il paese e la sua coscienza. Ora è il momento di consolidare e rinvigorire la Costituzione repubblicana, gli Organi dello Stato, la natura popolare e non populista, democratica e non demagogica dell’Italia nata dalla Liberazione.

Facciamo appello al sentimento di attaccamento alla Costituzione ed alla mobilitazione civica in sua difesa. Contro l’apatia, l’indifferenza, la distrazione verso il proprio particolare. Esprimiamo solidarietà e sostegno al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dimostratosi garante fedele e rigoroso dell’unità nazionale e dello spirito autentico della Costituzione.

Per costruire il futuro di questo paese è indispensabile il rispetto dello spirito e dei valori della nostra Costituzione: l’unità della Repubblica, il primato della persona, la divisione dei poteri, la libertà in tutte le articolazioni, il ripudio della guerra, l’autonomia della magistratura. Valori fondanti per una nuova e più solida democrazia di cui l’Italia ha bisogno.

Claudio Martini
http://www.claudiomartini.it

Violenze sulle bambine e arresti.

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Da Survival:

Quattordici persone, tra cui sei membri di una tribù Penan, sono stati arrestati oggi in Malesia mentre cercavano di manifestare il loro dissenso contro la costruzione di alcune dighe idroelettriche che li costringeranno ad abbandonare le loro terre.

Il gruppo di indigeni e attivisti è stato arrestato di fronte agli uffici del Primo Ministro dello stato del Sarawak, nella parte malese del Borneo.

Stavano cercando di consegnare al governo un appello per fermare la costruzione delle dighe destinate ad allagare le terre dove vivono molti Penan e altri gruppi indigeni, distruggendo le loro foreste e le tombe degli antenati.

Il documento di protesta è stato firmato da più di seicento Penan.

Tra gli arrestati c’è anche Raymond Abin, del Sarawak Conservation Action Network. Parlando dal carcere, ha raccontato a Survival che la delegazione non aveva ottenuto il permesso di entrare a consegnare l’appello, e così ha atteso all’esterno dell’edificio. Dopo quattro ore, l’ufficio del Primo Ministro ha chiamato la polizia e ha fatto arrestare tutti. Tuttavia, ad oggi, non sono ancora state formulate accuse.

“Questa è la mia terra ancestrale” aveva dichiarato tempo fa un Penan a Survival. “I Penan vivono qui da generazioni. Non vogliamo andarcene e non vogliamo cedere questa terra a nessuno”. Agli abitanti del suo villaggio è stato intimato di spostarsi per far posto alla diga “Murum”, che è già in costruzione per mano della controversa impresa statale cinese “China Three Gorges Project Corporation”.

Stephen Corry, il Direttore generale di Survival ha dichiarato oggi: “Survival è molto preoccupata per il fatto che i Penan e altri gruppi siano stati arrestati mentre cercavano di manifestare pacificamente la loro preoccupazione su queste dighe che, se completate, devasteranno le loro vite. Invece che rinchiuderli, il governo della Malesia dovrebbe ascoltarli”.

“I Penan sono conosciuti in tutto il mondo come i ‘gentile nomadi del Borneo’ ma stanno subendo attacchi brutali su vari fronti” ha commentato Francesca Casella, direttrice di Survival Italia. “Risale alla settimana scorsa la diffusione di un rapporto governativo che conferma le denunce di stupro effettuate quasi un anno fa da ragazze e bambine penan di soli 10 anni.

A violentarle mentre vanno o tornano da scuola sono gli operai della compagnie di disboscamento che operano nelle loro terre. E abbiamo appena saputo che la polizia avrebbe anche smantellato a forza le barricate erette in agosto da dodici comunità penan determinate a fermare pacificamente la distruzione della foresta in cui abitano da tempi immemorabili e da cui dipende la loro sopravvivenza… È tempo che la comunità internazionale reagisca e si schieri finalmente al loro fianco!”

Questa settimana un rappresentante Dongria alla Vedanta

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Le ripetute proteste dei popoli tribali di Orissa, in India, stanno dando filo da torcere alla più grande compagnia mineraria britannica, la Vedanta Resources.

Nel gennaio scorso, il miliardario Anil Agarwal, amministratore delegato e azionista di maggioranza della compagnia, aveva annunciato che la gigantesca miniera di bauxite prevista sulle colline di Niyamgiri sarebbe stata aperta nel giro di “un mese o due”.

Ma gli uomini e le donne della tribù dei Dongria Kondh, furiosi e determinati a impedire la distruzione della vetta della loro montagna sacra, hanno bloccato le strade di accesso all’area impedendo alle scavatrici della Vedanta di passare.

Unendosi alle ripetute proteste di centinaia di Dongria Kondh e di altri indigeni Dongria, Survival, Amnesty International, Action Aid, War on Want e numerosi attivisti indiani hanno condannato fermamente i progetti minerari della compagnia.

Survival ha anche inviato un appello urgente alle Nazioni Unite e attivato un’indagine presso l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).

Questa settimana, per la prima volta, un rappresentante dei Dongria Kondh si recherà a Londra per chiedere alla Vedanta di andarsene dalle loro terre natali.

Si unirà alla manifestazione prevista all’esterno della sede del congresso annuale della Vedanta.

Le manifestazioni dei Dongria Kondh sono solo le ultime di una un’ondata di proteste sollevata dai popoli tribali contro progetti industriali su larga scala destinati a distruggere le loro terre.

Per impedire alle compagnie petrolifere di entrare nei loro territori, in Perù, i popoli indigeni hanno bloccato i fiumi con le canoe.

In Malesia, i nomadi Penan sfidano ogni giorno l’arresto bloccando le strade di accesso alle loro foreste con l’obiettivo di impedire la loro trasformazione in piantagioni di palme da olio.

“I popoli tribali stanno guidando il fronte di una battaglia mondiale contro la distruzione su larga scala del pianeta” ha commentato il direttore generale di Survival Stephen Corry.

“Mentre i leader del mondo discutono sul come fermare i cambiamenti climatici, i popoli tribali della Terra si stanno letteralmente sedendo davanti ai bulldozer – non solo per loro stessi, ma a beneficio di tutti noi.”.

Gillo Dorfles e Poseidonia

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Un ringraziamento a Gillo Dorfles per l’interessamento alla mia seconda terra natale, cui sono emotivamente legatissima.

Da corriere.it

I tesori di Paestum sotto il mais
L’offesa infinita alla Magna Grecia
Invisibili per i visitatori antichi uffici, botteghe e abitazioni

di GILLO DORFLES

Ho sempre avuto la sen­sazione che i grandi complessi archeologi­ci del nostro Mediter­raneo — da Segesta a Elea, da Oblontis a Tharros — quando sorgono nei pressi della costa, venga­no quasi vivificati dalla luce e dall’aria marina che li fa miracolosamente rivi­vere nonostante i millenni trascorsi. È per questo che da alcuni anni, cerco sempre di passare qualche settimana a Paestum, non solo per approfittare della sterminata spiaggia ma per rias­saporare la meravigliosa atmosfera dei tre templi greci del VI secolo a.C. (Nettuno, Cerere e la Basilica) sempre con la speranza che quella metà del­l’antica Poseidonia venga finalmente riportata alla luce.

Ed è qui, infatti, che mi sembra do­veroso fare qualche osservazione più archeologica che turistica senza nes­suna pretesa storico-scientifica. So­no davvero molti anni ormai, che mi chiedo — e chiedo agli specialisti e alle autorità locali — come mai la so­lenne città di Poseidonia sia ancora per più della metà sottoterra, anzi sot­to il granturco che la ricopre. Come mai non possiamo ammirare gli altri settori dell’antica città greca anche nel suo quartiere degli affari, delle botteghe e delle abitazioni? E come mai dell’anfiteatro solo un terzo appa­re visibile al di là della strada asfalta­ta, che ancora interrompe a mezzo la città? Perché tutto il resto sta esso pu­re sotto le «proprietà private» che, ovviamente, potrebbero — anzi do­vrebbero — essere requisite o co­munque liberate da ogni interferen­za data la ineffabile importanza di questo «sito archeologico»; certo il più solenne di tutta la Magna Grecia? Credo che nessuna scusante tecnica o politica possa giustificare questo stato di cose.

Ma c’è un altro episodio cui non posso fare a meno di accennare ed è la recente operazione mirante a crea­re lungo il fossato erboso che costeg­gia la base di tutte le mura, una sorta di viottolo in cemento e travertino. Si tratta di un’operazione che consiste nell’aver sollevato di quota il terreno esistente e, attraverso cordoli di tra­vertino, aver creato un percorso pedo­nale che s’ imposta a pochi metri dal­le antiche mura e il cui impatto cro­matico e tecnologico ferisce crudel­mente la misteriosa solennità della fortificazione grecoromana. Viene in questo modo squilibrata la percezio­ne che si aveva delle mura stesse, e viene alterato il rapporto fra la strada e la cinta muraria. Il che ovviamente finisce per sconciare crudelmente la «poesia» del luogo dove le antiche pietre e l’erba convivevano pacifica­mente e dove un’ampia strada asfalta­ta, già preesistente, era più che ido­nea a chi volesse percorrere l’intero perimetro murario.

Le mie, com’è ovvio, sono solo ele­mentari annotazioni di un incolto tu­rista o (se si preferisce) di un appas­sionato archeologo dilettante, ma spe­ro possano avere una minima eco al­meno perché riprendano i lavori di «sgombero» di tutta l’area dell’antica Paestum e perché si proceda con la massima delicatezza nel recupero del­le mura senza offenderle con manu­fatti escogitati da improvvide iniziati­ve delle autorità locali e delle diverse Sovrintendenze, che hanno, peraltro, provveduto a ricostruire parte delle mura con le pietre originali giacenti ai loro piedi.

Una manovra che ripri­stina maggiormente il fascino dell’an­tica cerchia muraria. Ma, se la rico­struzione di qualche settore delle mu­ra è un fatto positivo, non si dimenti­chino le altre storture che purtroppo ancora incombono su questa zona: non solo per quanto concerne l’abusi­vismo edile — già segnalato sulle co­lonne del ‘Corriere’ — ma per quan­to si riferisce ad altri fondamentali in­sediamenti archeologici, sempre di questa area campana che non godo­no del dovuto rilievo. Mi riferisco al­l’area di Hera argiva — sito già scoper­to e studiato da Zanotti Bianco e Mon­tuori — che giace ai bordi del fiume Sele a pochi chilometri dai templi, quasi dimenticato.

E più ancora ad al­tri due epicentri favolosi: il nucleo ur­bano di Velia (Elea) in minima parte «scavato», sul quale è da registrare il grande impegno nel restauro di Raffa­ele D’Andria. Questo acuto studioso oltre a ciò, sta recuperando la delizio­sa città sepolta (sotto un abitato di ca­solari anonimi) di Buccino, l’Antica Volcei; dove ogni casa presenta negli scantinati o sotto le fondamenta mira­bili mosaici di epoca romana.

A questo punto vien fatto di riflette­re, anche in chiave economico-turisti­ca (di cui certo non sono deposita­rio), su come sarebbe opportuno, da un punto di vista storico scientifico, ma anche turistico, attivare maggior­mente la presenza di visitatori in que­sta zona così poco «reclamizzata». Or­ganizzando degli itinerari archeologi­ci ad alto livello, guidati da speciali­sti, che permettessero di rendersi conto (anche ai visitatori stranieri og­gi purtroppo molto scarsi) non solo dell’imponente presenza dei tre tem­pli di Paestum, ma di quella dei siti archeologici citati: Velia, Buccino, Hera argiva, tutti ancora troppo «di­menticati» negli itinerari culturali del nostro Paese.

Amnesty e il “caso italiano”.

wbeyeman

Non so a quanto possa servire diffondere queste notizie, e quale “impatto” possano avere sulle persone, ma la speranza è l’ultima a morire!

Spero intanto che anche la comunità europea si faccia carico delle proprie responsabilità.

da Repubblica.it

Il caso italiano. Per Amnesty International in Italia i diritti e l’incolumità di migranti e richiedenti asilo sono a rischio e i Rom sono oggetto di discriminazione e razzismo.

Sebbene il rapporto annuale si riferisca ai dati del 2008, la scheda sul nostro Paese denuncia i respingimenti di migranti del mese scorso.

“Venendo meno a una politica che le ha viste spendersi per la salvezza di vite umane nel Mediterraneo – accusa Amnesty – nel 2009 le istituzioni italiane hanno mancato ai principi fondamentali dei diritti umani mentre esercitavano le proprie funzioni in mare”.

Ancora una volta si punta il dito contro le condizioni delle persone rinchiuse a Lampedusa e si guarda con preoccupazione alle norme contenute nel pacchetto sicurezza che “lungi dal rappresentare una pianificazione chiara e comprensibile della politica sull’immigrazione, hanno un impatto pericoloso sui diritti umani”.

In particolare, Amnesty sottolinea come alcune norme, se approvate, possano “produrre un’allarmante conseguenza sui diritti umani dei migranti irregolari.

Costretti dalla minaccia incombente di una denuncia da parte di ogni pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, essi sarebbero indotti a sottrarsi dall’incontro con ogni tipo di istituzione e ufficio pubblico, tenendosi alla larga da ospedali, scuole, uffici comunali, con immaginabili conseguenze sul diritto alla salute, all’istruzione per i figli, alla registrazione dei nuovi nati”.

Il rapporto annuale 2009 denuncia ancora una volta che a distanza di 20 anni dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura (Cat) in Italia non esiste uno specifico reato di tortura nel codice penale.

Il nostro Paese non ha meccanismi di prevenzione della tortura e dei maltrattamenti e i pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni che si rendono colpevoli di tali reati vengono perseguiti attraverso figure di reato ordinarie (lesioni, abuso d’ufficio, falso) e puniti con pene non adeguatamente severe, o non puniti affatto per la prescrizione.

Amnesty fa esplicito riferimento ai fatti di Genova e alle sentenze relative emesse nel luglio e nel settembre 2008, sottolineando che proprio la lacuna nel nostro codice penale farà sì che “è improbabile che i funzionari e gli agenti imputati sconteranno le condanne, a causa dell’intervento della prescrizione.

In questi anni la ricerca della verità non è stata agevolata dalle istituzioni coinvolte, né nell’ambito dei processi, né attraverso l’istituzione di strumenti di monitoraggio, quali una commissione indipendente o di una commissione parlamentare d’inchiesta”.

Infine, come già fatto negli ultimi due anni, Amnesty richiama l’Italia e gli altri Paesi europei a fare luce sul caso delle rendition illegali, che non sono ancora state condannate pubblicamente.

DONGRIA KONDH: voce narrante Joanna Lumley

treaquileTre Aquile [foto reperita su internet]

Il primo aprile l’organizzazione per i diritti dei popoli indigeni Survival International ha presentato al parlamento inglese un film-documentario – “Mine: story of a sacred mountain” – che parla della minaccia che grava sulla tribù Dongria Kondh: una miniera di bauxite potrebbe distruggere la loro terra e la lore esistenza.

Da Survival:
La Vedanta Resources è una delle 100 società più capitalizzate quotate al London Stock Exchange (FTSE-100). La compagnia è in procinto di scavare una miniera di bauxite a cielo aperto sulla sommità della montagna sacra dei Dongria Kondh, sulla catena montuosa di Niyamgiri, nello stato indiano di Orissa.

I Dongria, che contano oltre 8.000 persone, venerano la cima della montagna, che considerano la dimora del loro dio, e sono determinati a impedire che venga trasformata in una desolata zona industriale. Il film descrive la loro battaglia.

Diversi attivisti di Survival hanno vissuto per settimane con la tribù. “I Dongria Kondh ricavano tutto ciò di cui hanno bisogno dalle colline di Niyamgiri e dai suoi fiumi” testimonia uno di loro.

“Tutti i membri della tribù con cui ho parlato mi hanno ripetuto la stessa cosa: ‘la Vedanta non può sottrarci tutte queste cose, non le lasceremo distruggere la nostra montagna’.”

La premiere del film si terrà oggi pomeriggio, mercoledì primo aprile, a Londra, presso la House of Commons del Parlamento inglese. Voce narrante del documentario è l’attrice britannica Joanna Lumley, famosa interprete della serie ‘Absolutely Fabulous’.

“È una tragica ironia” ha commentato l’attrice, “che quello che la Vedanta si propone di fare nel nome dello ‘sviluppo’ sia in realtà destinato solo a distruggere la totale autosufficienza dei Dongria.”

Stephen Corry, direttore generale di Survival International, ha aggiunto: “Per il bene dei Dongria Kondh, la Vedanta deve accantonare i progetti minerari previsti sulle colline di Niyamgiri perchè il loro impatto sarebbe devastante.

Sulla Vedanta potrebbe riversarsi prestissimo un vero fiume di richieste di ripensamento. Tutti gli azionisti della Vedanta devono prendere coscienza del fatto che i loro soldi potrebbero contribuire alla distruzione di un intero popolo.”

Nei giorni scorsi, la Vedanta ha subito un duro doppio colpo.

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha convenuto sull’opportunità di analizzare tutti i reclami presentati da Survival in merito ai progetti minerari della compagnia su Niyamgiri.

Contemporaneamente, la polizia indiana ha cominciato a investigare sulle accuse di frode mosse contro Anil Agarwal, il multimiliardario presidente della compagnia.